17 giugno 2011

2005-2010: SUCCESSI DEL CINEMA HINDI CONTEMPORANEO



C’è un segreto dietro ogni film indiano particolarmente riuscito. A volte cerchiamo di spiegarlo razionalmente o di individuarne le radici, ma è un segreto e come tale continuerà a sfuggirci.

Che sia a Mumbai o in qualunque altro angolo del mondo, Bollywood è un luogo onnipresente e sovranazionale sul quale non cala mai il sipario, e la parola fine non può che essere provvisoria se la vita del film non si esaurisce con la sua programmazione nelle sale ma resiste alla vendita del dvd, agli anni che passano, all’insorgere di nuove tendenze, alla dilagante pirateria.  Aldilà dei confini nazionali, migliaia di NRI (Non Resident Indians) ritrovano nel cinema Hindi (ma anche Tamil, Telugu, Bengali, Malayali, Kannada...) un mezzo per mantenere i contatti con la propria lingua e le proprie radici pur vivendo all’estero. Il numero elevato di non-residenti non solo segue con interesse le nuove uscite ma si mostra ogni giorno più attento alla qualità degli script, della fotografia e della colonna sonora, e i registi, costantemente impegnati in nuove realizzazioni, devono tenere conto anche di loro e del pubblico occidentale che di riflesso viene coinvolto.
Un numero sempre maggiore di fans inizia a muoversi nei cinque continenti, nuovi ammiratori e seguaci che ad un certo punto scoprono di apprezzare il cinema indiano e, parafrasando una frase del regista Yash Chopra, improvvisamente sentono di “averne bisogno”. Lo star system non espone troppi nomi, e ciò nonostante la competizione è sfrenata e incessante, i personaggi di punta sono pochi ma buoni, i loro volti impossibili da dimenticare. Difficile per i debuttanti imporsi in un sistema ben consolidato, che siano nuovi attori, compositori o registi: la legge del mercato, governata da un pubblico esigentissimo, può decidere che dopo pochi flop sei fuori, e a volte ne basta uno solo. Nel fondersi continuo di passato e futuro, nella crescita vorticosa, nell’instancabile processo di creazione e fruizione, perdersi è facilissimo, e coloro che esaltano sono anche pronti a voltare le spalle se sentono di essere stati ingannati,  se avvertono mancanza di qualità.  Non c’è spazio per la noia, nessuna visione può essere una perdita di tempo o un’esperienza passiva. 

Le coreografie moderne sono influenzate da hip hop, jazz, tango, salsa, disco dance; le colonne sonore si fanno sempre più seducenti, fresche e sofisticate; nei set troviamo arredi di raffinato design e le star si vestono all’ultima moda con abiti disegnati dai migliori stilisti stranieri o locali. Dal 2007 il mensile Vogue pubblica la sua versione indiana con i bellissimi divi in copertina, mentre il numero delle riviste specializzate sul cinema si moltiplica di mese in mese, e l’uso dell’inglese ha permesso una loro diffusione mondiale. Le stars sono ovunque, dietro i cancelli di Filmistan oppure on-stage in una delle numerose performance live eseguite in grande scala, in un quiz a premi, in un talk show, nelle pubblicità dei prodotti più svariati, in passerella sfilando per le grandi firme, nella giuria di un concorso di bellezza, nei moltissimi siti web, nelle pagine twitter e nei blog personali. Notizie, pettegolezzi, servizi fotografici, nuovi trailer, promozioni dei film in uscita: impossibile non essere aggiornati. Il cinema, i suoi volti e la sua musica sono parte della vita quotidiana in un fenomeno senza sosta e senza confini.

Fiduciosa del suo potenziale Bollywood si muove anche in nuovi territori e cattura capitali dall’estero, si intrecciano collaborazioni con storiche case di produzione straniere come la Walt Disney, che acquista i diritti della distribuzione americana del dvd di Taare Zameen Par e finalizza un accordo con la Yash Raj per la realizzazione del lungometraggio animato Roadside Romeo. Seguiranno altri progetti ancora più interessanti, come il pluripremiato Do Dooni Char. Steven Spielberg diventa partner della Reliance e la notizia viene pubblicata sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, la Fox produce My Name is Khan, la Columbia finanzia Saawarya, il film di Bhansali ispirato a “Le Notti Bianche” di Dostoevskij. Negli ultimi anni molti generi prima sottovalutati tornano in voga e creano nuove mode, vengono girati horror (Phoonk), noir (Strangers), e grazie all’esplosione del film Chak De! India, basato sulle aspirazioni di una squadra di hockey tutta al femminile, si avvia un filone di sports movie spesso collegati a sentimenti di orgoglio nazionale, il cui capostipite fu Lagaan (2001).
Il ventaglio delle tematiche da esplorare si fa sempre più ampio e imprevedibile: è necessario perdersi nella vastissima disponibilità di titoli sugli argomenti più svariati, dalle storie di denuncia sociale, corruzione politica e dominio dei mass media (Rann), di incontrollato marketing e strategie di vendita (Corporate), a remake di successi di altre filmografie indiane come i due film d’azione Ghajini (dall’omonimo film tamil) e Wanted (dal telugu Pokiri ). Tra i film che propongono riflessioni sulla diversità fisica, problemi psicologici e malattia, impossibile dimenticare il meraviglioso Black (2005) di Sanjay Leela Bhansali ispirato a The Miracle Worker (nella versione italiana Anna dei Miracoli). Uscito nel 2008 U me aur hum, diretto dall’attore Ajay Devgan e interpretato dalla moglie Kajol, osserva i cambiamenti della vita di coppia in seguito alla notizia di una precoce malattia degenerante; il recente Karthik calling Karthik si può definire a metà strada tra un film romantico e un thriller il cui protagonista è frustrato e affetto da disturbi psichici; sullo stesso tema, ma più cupo e biografico, è  Woh Lamhe, ispirato alla vita di Parveen Babi, star indiana degli anni Settanta colpita da schizofrenia, progetto voluto da Mahesh Bhatt, regista e produttore che ha condiviso con l’attrice una difficile relazione.
Più che un supereroe è un’apparizione divina che vola leggiadra tra i grattacieli e l’asfalto della metropoli o tra gli alberi di una verdissima natura incontaminata. Il più amato film per ragazzi degli ultimi anni è senza dubbio Krrish, con il magnifico Hrithik Roshan: attore impeccabile, uomo perfetto, energico ballerino. I più piccoli adoreranno film come Thoda Pyaar Thoda Magic e Boothnath, amicizia tra angeli / fantasmi e bambini pestiferi con echi a Mary Poppins, effetti speciali e magia; o il simpatico Bunty aur Bably, divertente risposta bollywoodiana a Bonny e Clyde. Tra le commedie non c’è che l’imbarazzo della scelta, dalle confuse situazioni dei film di Priyadarshan, a Race, fashion-thriller di Abbas-Mustan scandito da sexy item songs; dall’incredibilmente pazzo Housefull ai blockbusters comico-demenziali di Anees Bazmi come il successo Singh is Kinng, nel quale un imbranato contadino punjabi vola fino in Australia per convincere un boss della malavita a ritornare al suo villaggio, il tutto condito da musica travolgente (collaborazione speciale con il rapper Snoop Dog). Il divertente Akshay Kumar modaiolo sardar balla tra i templi di Karnak accanto a Katrina Kaif, star adorata dai giovanissimi, dalle curve morbide e dall'immancabile look da bambola.
Nel 2009 i mancati accordi tra produttori e multiplex provocano uno sciopero che paralizza per troppi mesi la distribuzione di nuove pellicole. Il lungo letargo si interrompe solo a fine maggio con  New York, nuovo lavoro di Kabir Khan. Il regista dell’interessante Kabul Express concentra nuovamente la sua attenzione sul tema del terrorismo internazionale. Seppur commerciale e segnato da un finale posticcio, il film non mostra alcuna pietà per lo spettatore e non risparmia dettagli delle torture a cui viene sottoposto Sameer (John Abraham), ingiustamente recluso a Guantanamo. Un successo mancato è il cupo e oscuro film di Rensil D’Silva, Kurbaan, sulla doppia vita di un terrorista e di sua moglie intrappolata tra le mura di casa. Questa volta appaiono senza riserve gli atti e le manovre dei soggetti realmente coinvolti nelle azioni. Il film, durissimo e drammatico, risulta ugualmente doloroso nelle immagini e nei contenuti. Andando contro corrente Bollywood invia messaggi di tolleranza anche in un momento in cui il clima di sfiducia e paura va per la maggiore. I film propongono nuovi dibattiti e guardano agli eventi, ma anche alle loro conseguenze indirette, da ogni lato e punto di vista possibili. L’esempio più rappresentativo è My Name is Khan, grande ritorno sullo schermo della coppia cinematografica più amata degli ultimi decenni: Shahrukh Khan e Kajol. Presentato dall’attore stesso durante la passata edizione del Festival Internazionale del Film di Roma (e distribuito anche nelle sale italiane), questo film dai valori universali ci fa innamorare del suo protagonista, Rizwan Khan, affetto da sindrome di Asperger, la cui vita cambia drasticamente in seguito all’instaurarsi di un clima di odio e violenza contro ogni individuo di religione musulmana. Connesso al dilagare dei pregiudizi razziali post 09/2001, l’ultimo lavoro di Karan Johar punta alla riflessione, cercando di sfatare timori generalizzati. Riaffermando la propria identità e manifestando la sua estraneità agli eventi, Rizwan ripete compulsivamente la frase “My name is Khan and I am not a terrorist” / “Il mio nome è Khan e non sono un terrorista”. Dopo pochi istanti ogni spettatore non può che sentire il suo appello impresso dentro di sè.

In una realtà sospesa nella tradizione ma pienamente inserita nel nuovo quadro internazionale, i cambiamenti in atto coinvolgono anche i soggetti cinematografici. Le scorrettezze aziendali e l’ansia di emergere riflettono i problemi di una società sempre più consumista e globale. Cosa succede quando si possiedono i numeri giusti nelle circostanze sbagliate? Ce lo spiega la commedia di Aziz Mirza Kismat Konnection, tra fortuna e sfortuna, situazioni stagnanti e successi improvvisi; Rocket Singh – Salesman of the year mostra come uscire dall’anonimato e dalla frustrazione in una grande impresa, rendersi indipendenti con l’astuzia e intrappolare i sedicenti datori di lavoro nel loro stesso gioco. Hello, adattamento cinematografico di un romanzo contemporaneo, costruisce una storia fantastica attorno alla massacrante routine dei call centre notturni, i centri di assistenza per clienti internazionali che sfruttano il lavoro di giovani indiani ansiosi di un’indipendenza economica. La differenza di fuso orario obbliga gli impiegati a restare in piedi tutta la notte e subire anche nel tempo libero una perenne reperibilità. 
Il successo economico delle aziende del sub-continente e la trasformazione dell’India nella nuova potenza emergente dell’Asia, stimolano la crescita dei consumi e un forte cambiamento del tenore di vita, si creano circoli di nuovi ricchi e nuovi classi medie residenti nelle grandi città, ora importanti poli finanziari.  Diretto ad un target di adolescenti ma non del tutto disimpegnato, il fenomeno giovanile Jaane tu ya jaane naa divide i personaggi in base alla loro estrazione sociale, imprenditori e middle class (allegramente soprannominati meow / gatti e rats / topi),  tra feste private e discoteche, e traccia un ritratto dei nuovi giovani sempre più indipendenti ma anche rinchiusi in ossessioni e incertezze davanti ai veri cambiamenti della vita. Ranbir Kapoor in Wake Up Sid! è un figlio di papà pigro e immaturo che decide di scoprirsi e mettersi alla prova dopo aver fallito gli esami. Sonam Kapoor in Aisha incarna un chiaro ritratto dell’alta società global votata al più assurdo consumismo.
Delhi 6 e Swades, distribuiti rispettivamente nel 2009 e nel 2004, sono differenti storie del ritorno a casa: Roshan (Abhishek Bachchan) e Mohan (Shahrukh Khan), da anni residenti in America, ritrovando il proprio Paese d’origine scoprono qualcosa in più di se stessi.
Il patriottismo diviene riappropriarsi dell’identità nazionale dopo anni passati all’estero, sentire come proprio il disagio e il dolore degli altri, e cercare di raggiungere dei miglioramenti visibili per la società partendo dalle piccole cose, rendendo spendibile il proprio bagaglio di esperienze. La crescita e la presa di coscienza di giovani disorientati è il cuore pulsante di Rang de Basanti, di R.O. Mehra: un gruppo di ragazzi confusi sente risvegliare a mano a mano la propria consapevolezza interiorizzando le vicende degli eroi dell’indipendenza che interpretano per un documentario. I protagonisti sono inquadrati in una dimensione di estrema soggettività, tanto che lo spettatore può entrare nella loro sfera interiore e sentirne i cambiamenti, cogliendo la trasfigurazione di ogni personaggio del film nel personaggio storico del quale iniziano a vivere le memorie. La tecnica narrativa a incastro sovrappone la rievocazione del passato al presente, svelando gradualmente un’irreversibile, e fatale, impersonificazione. Tutti e tre i film appena citati sono arricchiti da bellissimi brani composti da A.R. Rahman, affermato Mozart indiano, vincitore del premio Oscar per  Slumdog Millionaire.
Anche le grandi città e i loro sfondi divengono vanitosi protagonisti della scena. New York non è mai stata così bella come appare attraverso l’obiettivo di Karan Johar, Londra splende in Salaam E Ishq, passioni e odio accendono i grigi cieli di Seoul nel suggestivo Gangster - A love story, e diverse storie si intrecciano nella vita nevrotica di Mumbai in Life in a Metro, due bellissimi film, questi ultimi, di Anurag Basu, regista dal talento strabordante ma non esente da passi falsi, vedi il pesante tonfo di Kites. Tra i flop storici degli ultimi anni, il fallimento totale dei costosi quanto inutili Veer, Love story 2050, Drona e London Dreams, sorte che non risparmia nemmeno i grandi nomi come Subhash Ghai, che incontra un sonoro schianto con il sontuoso musical Yuvraaj, e Ashutosh Gowariker, il cui tentativo di girare una commedia (What’s your raashee?) nella quale l’attrice Priyanka Chopra interpreta ben 12 personaggi naufraga nonostante gli sforzi e l’esperienza del regista.

A volte invece film a basso budget sorpassano potenziali cavalli vincenti e fanno parlare di se. E' il caso di A Wednesday!, Mumbai meri jaan e Tum Mile, tutti e tre ispirati a eventi di cronaca contemporanea: il drammatico attentato ferroviario del 2006 e l’inondazione che nel luglio 2005 colpì la città di Mumbai. Ma soprattutto l'ironico Tere Bin Laden E il drammatico Udaan, capolavoro silenzioso di un giovanissimo regista emergente, film dai contenuti taglienti selezionato per il Festival di Cannes.

L’amore non è mai fuori moda e Bollywood ha il suo linguaggio. Ne verrete travolti. Lo studio dei desideri, delle illusioni, dell’immaginario è accuratissimo quanto incredibile. Una delle cose che colpiscono i neofiti al primo film è il soffermarsi delle inquadrature sul volto degli attori, sulle mani, sugli occhi. La telecamera si innamora dei protagonisti e trasmette la sua contemplazione ipnotica. Amarezza, ansia, dolore, sfida, innocenza, malizia: basta un attimo e le sensazioni si liberano nell’aria. L’efficace espressività degli interpreti è qualcosa di inimitabile, unico e prezioso.
Lasciatevi sedurre dal sanguigno racconto di amicizia, gelosie e passioni di Parineeta; restate a bocca aperta davanti all’affascinante coppia composta da Hrithik Roshan e Aishwarya Rai in Dhoom 2 e bloccatevi increduli di fronte ad un bacio mozzafiato, sguardi felini, corpi da sogno e danze da capogiro; in Fanaa la seduzione si accende attraverso scambi di poesia Urdu e dolcissime melodie; mentre la favola romantica Paheli vi trasporterà in un mondo fiabesco tra palazzi, deserto, racconti magici e sgargianti abiti rajastani.

L’erotismo vellutato è intriso nella narrazione stessa, spesso racchiuso anche solo in uno sguardo, in un velocissimo gesto. 
Il secondo fim di Karan Johar, Kabhi Kushi Kabhie Gham, (2001) fu il visto diplomatico per l’accesso di Bollywood in Occidente, e trascinò il pubblico europeo all’interno di una nuova dimensione emotiva dando prova che i sentimenti sono sempre un tema universalmente valido, suggestivo e appassionante. Kabhi Alvida Naa Kehna, distribuito nel 2006, aggiunge un nuovo capitolo nello studio di Karan Johar sui rapporti umani. Riunendo un cast di sole grandi superstar, il film parla con coraggio di una relazione extraconiugale, un amore ingovernabile e guidato dal destino, raccontato con eleganza, crescente pathos e maniacale attenzione ai dettagli. Aditya Chopra, figlio del mostro sacro Yash, personalità schiva e allergica ai media, dopo la storia d’amore dei record (Dilwale Dulhania Le Jayenge), ci incanta con un film tenero e irresistibile, Rab ne bana di jodi. Suri, un impiegato timidissimo, non riesce ad avvicinare la moglie Taani che lo ignora. Insicuro del suo aspetto, si trasforma in Raj, adorabile cafone ammiccante, e il nuovo travestimento lo scioglie dalle inibizioni permettendogli di esprimersi e dichiarare il suo amore. Una ragazza di origine indiana cresciuta a Londra si ritrova sposata con un ingenuo ragazzo punjabi nel tenero e divertente Namastey London di Vipul Shah. Scherzando sull’incontro / scontro dell’indipendente Jazz con il timido Arjun, il film dà voce ad una ricorrente situazione tipo: molti figli di indiani emigrati spesso si sposano nella terra d’origine delle proprie famiglie, ma il divario culturale non sempre è gestibile e si presentano ostacoli e incomprensioni, almeno iniziali. Incontrare un nuovo amore diviene riscoprire se stessi nel successo di Imtiaz Ali Jab we met. Un figlio di papà pronto al suicidio prende possesso della sua vita dopo l’incontro con una ragazza positiva e pazza. La scoppiettante favola moderna, guidata del tomentone “Mauja Hi Mauja”, insegna a crescere, conoscersi, e capire che esiste sempre un rimedio. Cheeni Kum rivoluziona ogni preconcetto sull’attrazione e sull’età anagrafica: un uomo maturo si sente un ragazzino e si innamora di una donna molto più giovane di lui, la madre anziana si crede adolescente, mentre una bambina di nove anni discute di filosofia e suggerisce agli adulti come vivere; contraddizioni e situazioni capovolte giocano con i più diffusi luoghi comuni sull’amore, la morte e l'età anagrafica.
Cambia il modo in cui vengono rappresentati i rapporti uomo / donna in molti film contemporanei: non più corteggiamenti, prove e attese, ma una relazione pratica e ormonale pronta a convertirsi anche in vero amore. Anuskha Sharma nei recenti Badmaash Company e Band Baaja Baaraat diventa  la forza motrice che rimette in sesto il protagonista maschile fragile e sbandato. Già in Salaam Namaste, distribuito nel 2005, Siddharth Anand cerca di lanciare nuovi messaggi facendo intravedere i cambiamenti nella vita sentimentale delle nuove generazioni. La commedia romantica ambientata in Australia ha per protagonisti due giovani di origine indiana che si amano alla follia fino al giorno in cui scoprono di aspettare un bambino. La notizia della gravidanza improvvisa getta nel panico il ragazzo ancora titubante, mentre la donna affronta da sola le decisioni. Sempre Anand firmerà uno delle love story più amate del 2010, lo smaliziato e moderno road movie Anjaana Anjaani. Un variopinto e ben orchestrato clash generazionale è il film Love Aaj Kal: il confronto a tavolino tra il giovane Jai (Saif Ali Khan) e Veer (Rishi Kapoor) agisce da filo conduttore della storia, un faccia a faccia tra due epoche e due punti di vista, l’amore fatto di piccoli traguardi di fronte all’impostazione moderna del rapporto tutto-e-subito veloce e disincantato. In Pyaar ke side effects Rahul Bose diventa un divertente Bridget Jones al maschile; Jia Khan conturbante Lolita seduce il padre della migliore amica nel difficile Nishabd e il mutuo desiderio stabilisce uno strana complicità impossibile da far accettare; il bellissimo Chameli di Sudhir Mishra (incentrato sull’intesa che sboccia in una notte di pioggia tra una prostituta in fuga e un uomo perseguitato dai ricordi) riassume in pochi fotogrammi e in una sola battuta finale tutte le sensazioni del film, “basta che ci sia amore” / “bas pyaar hona chaye”. L’amore non ha bisogno di spiegazioni e trova nel cinema indiano il veicolo ideale per esplorarsi, per comunicare la sua forza con efficacia, per essere intrappolato per sempre e rivivere ogni volta.
Dopo il successo di Dhoom 2, Aishwarya Rai e Hrithik Roshan tornano insieme nel grandioso Jodhaa Akbar. L’impero moghul secondo Ashutosh Gowariker, meravigliosi palazzi pazientemente ricostruiti nei Big ND Studios in Maharashtra, centinaia di comparse, investimenti astronomici, costumi sontuosi e gioielli veri realizzati da artisti d’intaglio e poi battuti all’asta. Il film ad altissimo budget apre in grande il 2008, anno interessante e fortunato che prosegue con il successo di Dostana, commedia scoppiettante su una coppia di amici che si finge gay per ottenere il permesso di soggiorno e l’affitto di uno strepitoso attico a Miami. Farhan Akhtar, dal primo film Dil Chahta Hai, continua la sua ininterrotta collezione di applausi: bello, sexy e intuitivo, nel 2006 dirige con coraggio il remake di Don, un classico degli Anni ’70 rivisto in chiave moderna e magistralmente interpretato da un sadico Shahrukh Khan (tornato a un ruolo negativo dopo anni di permanenza nella sfera dell’eroe romantico). Il suo film di esordio come attore, Rock On!!, fa riemergere ricordi abbandonati in soffitta al ritmo di musica rock, e invita a non seppellire le aspirazioni dell’adolescenza sotto il peso del tempo e della necessità di una sicurezza economica.
Negli ultimi anni Bollywood ha iniziato a riflettere su se stessa, rievocando con brio la sua storia e giocando con il preparatissimo spettatore. Vengono pensate dream sequences che attingono al comune archivio di conoscenze:  “Zoobi Doobi” nel film 3 idiots ammicca richiami a film come Prem rog, Shree 420 e Pyaasa, mentre “Phir milenge chalte chalte”, da Rab ne bana di Jodi, ha un testo composto esclusivamente da titoli di classici incastrati tra loro, e la coreografia rende omaggio ai grandi interpreti del passato.  Romantica e scherzosa, la commedia sentimentale I Hate Luv Storys gioca sui “dietro le quinte” della produzione cinematografica, intrecciando una fittissima quanto piacevole rete di richiami. Luck by chance mostra Farhan Akhtar nei panni di un aspirante attore pronto a qualsiasi compromesso pur di raggiungere la popolarità. Girato in seppia, nostalgico e triste, Khoya Khoya Chand, basato sull’ascesa e il tragico epilogo di una giovane star degli anni Cinquanta, non ha incontrato i favori del pubblico pur essendo un prodotto di per sè ben confezionato. Ma  il più famoso tributo di/Bollywood /su/Bollywood resta comunque lo sfavillante e ironico Om Shanti Om. Il successo della regista – coreografa Farah Khan, meglio conosciuto come OSO, è un succoso e glitterato contenitore di citazioni, set grandiosi, colori accecanti e canzoni da ascoltare no stop. Shahrukh Khan si lancia in una sensuale  item-song sfoggiando un look da ventenne e inediti addominali. Giocando con la sua immagine pubblica e il suo straordinario appeal, Shahrukh interpreta nuovamente il ruolo di un attore famoso e idolatrato. In Billu è una superstar che raggiunge un villaggio per le riprese del nuovo film e che sconvolge la vita del barbiere, il quale timidamente dichiara di essere “suo amico” (Irrfan Khan). Isteria di massa, concerti live, fan di tutte le età arrampicati sugli alberi per poter sbirciare sul set e vedere dal vivo “the King”, immagini sacre vendute accanto alle locandine dei suoi film più famosi e ragazzini che vogliono tagliarsi i capelli esattamente come lui. Niente di tutto ciò è troppo distante dalla realtà. Reazioni di follia per il fenomeno SRK tornano ad essere il tema introduttivo di avventure e disavventure di altri personaggi. E' il caso dell’appena distribuito Shahrukh bola Khoobsurat hai tu, in cui una ragazzina che vende fiori ai semafori, fan accanita di Shahrukh, incontra per caso la star e vede trasformarsi in realtà il suo più grande sogno. Come riuscire a dimostrare di aver veramente interagito con il Re di Bollywood? Nessuno vorrà credere alle sue parole. L’amore incontrollabile per le star indiane non è facilmente spiegabile con la ragione, l’attore non è soltanto una personalità carismatica e un bel volto da stampare sulle copertine, ma il corpo di infiniti personaggi che si incollano l’uno sull’altro nell’immaginario collettivo, un messaggero di emozioni, un patrimonio comune ma irraggiungibile.
Tagliente, gioioso, vibrante o pazzo, troverete centinaia di aggettivi per definire un solo film e fallirete nel tentativo di inquadrarlo in un'unica categoria. Dietro ad ogni nuova uscita c’è la mano paziente di narratori instancabili e di lungimiranti uomini d’affari. Nonostante i numeri e il suo glamour, Bollywood si mostra molto meno consumista di quanto si potrebbe credere: solo i brutti film si guardano e si gettano via, i titoli buoni vengono interiorizzati, ricercati, riproposti, non merce da utilizzare ma un legame duraturo e appagante. Produttori e registi non puntano solo a trascinare il pubblico nelle sale una volta ma a vendere lo stesso titolo ripetutamente. Se il film accende la scintilla, va ad incidersi in profondità nella psiche ed avvia una catena di ripetute visioni. Alla luce di tutto ciò sarà chiaro che realizzare un buon film a Mumbai non è roba da niente.
I grandi registi indiani sono in grado di gestire con eleganza possenti blockbuster commerciali senza che il loro spirito artistico ne venga in alcun modo intaccato. Tradizione e grandeur si uniscono alle nuove tecnologie nel cinema fastoso e impegnato di Sanjay Leela Bhansali (Devdas), maestro di una nuova estetica capace di compiere una personale sintesi tra le sette arti nelle sue realizzazioni in grande scala. Immagini mentali, suggestioni, ricordi, visioni, la giustapposizione di architetture da sogno e la ricchezza della scenografia suggeriscono allo spettatore di “esplorare” l’ambiente in cui si svolgono le scene.
Famoso per i suoi adattamenti di opere Shakespeariane all’interno di un contesto profondamente indiano, Vishal Bhardwaj, contemporaneo maestro dell’originalità, inizia la sua carriera come compositore musicale prima di trasformarsi in uno dei più innovativi registi del momento. Dopo le meravigliose trasposizioni di Macbeth (Maqbool) e Otello (Omkara), si sbizzarrisce con un pulp movie dal titolo provocatorio Kaminey (trad. bastardo), dimostrando di saper passare dalla poesia alla violenza in un battito di ciglia. Inquadrature veloci e nervose per comunicare l’ansia e le tumultuose sensazioni, rapporti istintivi e sanguigni nel film rivelazione dell’anno 2010, Ishqiya, da lui scritto e prodotto.
Nel 2010 due epiche della tradizione religiosa Hindu guidano le trame di moderni prodotti cinematografici: ispirati al Ramayana sono Raavan e Raavanan di Mani Ratnam, mentre  Raajneeti di Prakash Jha mostra forti richiami al Mahabharata. Ratnam, il cui primo grande successo fu Roja (1992), primo film della trilogia sul terrorismo, seguito da Bombay e Dil Se, riesce nel difficile compito di unire temi di attualità, violenza e politica con appassionanti storie d’amore, sequenze di sogno e spettacolari visualizzazioni dei brani musicali. Le colonne sonore che accompagnano i suoi film sono sempre magnifiche, grazie al sodalizio professionale con il compositore A.R. Rahman.
Girato tra Istanbul, Mumbai e il Gujarat, Guru (2007) ripercorre la carriera e la vita familiare di un self made man combattivo e ambizioso, ma è guidato da una sua morale, ed è riscaldato dalla presenza della storia d’amore in - off screen tra Abhishek Bachchan e la bellissima Aishwarya Rai. Il film, tra i numerosi punti di forza, deve molto anche alle interpretazioni dei comprimari: R. Madhavan, Mithun Chakraborty e Vidya Balan. 
Dal dark e criptico No smoking, Anurag Kashyap si impone come uno dei più promettenti registi della “new wave”. Dev D, controverso e rivoluzionario, evoca l’amore autodistruttivo di Devdas, protagonista dell’opera di Sarat Chandra Chattopadyay e tema di moltissime trasposizioni cinematografiche, da quella di P.C Barua a Bimal Roy, da Bhimsingh a Sanjay Leela Bhansali. In questa versione contemporanea l’insuccesso e la passività del protagonista (Abhay Deol) si rifugiano nelle diverse forme di dipendenza: alcol, droghe e amore ossessivo. Altri esempi di film non convenzionali: il caotico Being Cyrus, in cui la narrazione assomiglia a un flusso di coscienza in stile Joyce e la voce fuoricampo di Saif Ali Khan diviene una vera e propria autoanalisi; ma anche l’esperimento incredibile nel voyeuristico Love Sex aur Dhokha; il cupo The Film Emotional Atyachar, unconventional road movie girato completamente in notturna il cui titolo è preso proprio dal testo di una canzone di Dev D; Dor, incantevole fiaba dell’amicizia; The Last Lear e Raincoat, suggestivo cinema - teatro di Rituparno Ghosh. Ram Gopal Varma, poeta dell’underworld metropolitano, si muove con creatività tra storie di gangster e corruzione delle forze dell’ordine, inefficacia delle istituzioni e governi paralleli. In omaggio alla saga de “Il Padrino” ecco i suoi film Sarkar (2005) e Sarkar Raj (2008). Madhur Bhandarkar divide la sua filmografia per settori di osservazione, sceglie un ambiente, una problematica e da essa fa nascere una storia realistica ma non priva di attrattiva. La sua avventura ha inizio con Chandni Bar, uno sguardo al mondo notturno dei beer bar, locali in cui l’intrattenimento per soli uomini si trasforma in facile mercato del sesso, e continua con Traffic Signal, film sull’accattonaggio ai semafori di Mumbai legato alla criminalità organizzata. Luci e ombre nel crescente mercato dell’alta moda indiana in Fashion, fino allo scarno e drammatico Jail, girato quasi esclusivamente all’interno di un penitenziario.
L’esodo di massa verso le grandi città diviene uno dei tanti temi toccati dalle pellicole indiane negli ultimi anni. La presenza delle affollatissime metropoli, sempre più caotiche e occidentalizzate, coesiste con la realtà delle campagne governata da ben altri ritmi e consuetudini. Interessanti riflessioni sulla vita nei villaggi nell’era globale si possono trovare in film come Road Movie, strano viaggio interiore di un giovane alla ricerca di se stesso alla guida di un furgone - cinema itinerante attraverso le realtà più remote del Paese; Welcome to Sajjanpur, di Shyam Benegal, quadro dolce e amaro della vita degli abitanti in una piccola località rurale; ma soprattutto Peepli (Live), della debuttante Anusha Rizvi (prodotto da Aamir Khan e interpretato dai membri di una compagnia teatrale), una satira saggia e diretta come una lancia sull’attività feroce dei mass media, sulla corruzione politica, ma soprattutto, sull’impossibilità di cambiare la propria situazione al punto che il suicidio sembra l’unica soluzione di fronte all’accumularsi dei problemi.
L’attore Sanjay Dutt trova in Munnabhai, impacciato gangster dal cuore d’oro e dai modi poco ortodossi, il miglior ruolo della sua carriera. I due film Munnabhai MBBS (2003) e Lage Raho Munnabhai (2006) di Rajkumar Hirani, sono esperimenti di fusione tra impegno e spensieratezza, ricchi di intrattenimento e vibrazioni positive. Le avventure di Munna e Circuit hanno dosato risate e lacrime senza risparmiare riflessioni, e il regista ha conquistato il pubblico con le sue tragi-commedie intrappolate nella filosofia. Il recente fenomeno 3 Idiots porta a galla domande pertinenti riguardo il sistema dell’istruzione e formazione dei giovani attraverso denunce non troppo velate seppur mimetizzate nella commedia. Rancho (Aamir Khan) si ribella al rigido sistema educativo e mostra le lacune dell’insegnamento meccanico e nozionistico, ride sull’insensata corsa all’eccellenza secondo la quale, per citare un dialogo del film, ”... il primo uovo che si schiude deve gettare al suolo gli altri”... Sotto la pressione delle famiglie e a contatto con la scarsa vocazione degli insegnanti, i tre studenti (ironicamente indicati dal film come 3 idioti) cercano di ritrovare la calma e l’equilibrio rassicurandosi e ripetendo “all izz well”/ “tutto va bene”. Il film scorre, tramortisce, distrae, diverte, e l’imprevedibile equilibrio si crea. Il protagonista, Aamir Khan, non è solo uno degli attori di punta dello star system, ma anche un sorprendente regista, capace di scatenare un uragano di meritati successi solo con il suo primo film, Taare Zameen Par (2007), dialogo interiore di un bambino dislessico, osservatore e amante della pittura ma sottoposto a continue frustrazioni da parte di genitori e insegnanti incapaci di intuire la ragione del suo lento apprendimento. Ishaan (Darsheel Safary) grida silenziosamente aiuto incamminandosi in un pericoloso percorso di totale chiusura al mondo, ma nessuno, a parte il nuovo maestro di disegno, presta attenzione alle sue difficoltà.
Darsheel Safary, a soli undici anni candidato ai Filmfare Awards a fianco dei più grandi nomi, è forse il più famoso ma non l’unico giovane attore ad aver catturato l’attenzione di critici e media. Altri piccoli interpreti si muovono in grandi storie spesso dirette da fenomenali registi. Tahaan, di Santosh Sivan (Asoka), è un film strano e di poche parole, dalla trama semplicissima ma dalla realizzazione sofisticata. Un bambino del Kashmir non accetta di separarsi dal suo asinello dopo che la madre è costretta a venderlo. Tahaan, determinatissimo e cocciuto, cerca in ogni modo di ritrovare l’amico, e finisce, senza rendersene conto, in mano ad un gruppo terroristico.  Aldilà della storia e della meravigliosa fotografia, spicca l’abilità del regista nell’aver catturato una sorprendente naturalezza nel piccolo attore (Purav Bhandare) e di aver dato voce al solitario paesaggio, che emerge con tutta la sua silenziosa bellezza tra il frastuono della guerra.
Altra giovanissima attrice, Shreya Sharma, è Binya in The blue umbrella, di Vishal Bhardwaj. Perfettamente costruito attorno alla figura di uno strano ombrello giapponese, il film osserva l’arrivo in un villaggio dell’oggetto stravagante e inutile, ma così bizzarro e misterioso da apparire la materializzazione del desiderio. Non semplicemente un giocattolo ma un’immagine seducente, uno strumento per distinguersi e lasciarsi ammirare, il cui richiamo si fa sempre più forte passando dalle mani della bambina, guidata solo da curiosa vanità, a quelle dell’adulto (Pankaj Kapoor), la cui grottesca ansia di potere diviene autodistruzione.
Mi spiace per Hollywood se di Big B ce n'é uno solo, ed è nato in India. Ammesso che di un piccolo protagonista in questo caso si possa parlare. Il già pluripremiato Paa, di R.Balki, è un esperimento irripetibile e sbalorditivo. Amitabh Bachchan a sessantasette anni decide di trasformarsi in bambino e propone uno scambio di ruoli a suo figlio Abhishek. Privo di scontata commiserazione, il film non è solo ricco di sentimenti, ma è anche intelligente, originale e soprattutto divertente. La star interpreta Auro, ragazzino affetto da una rara malattia genetica. Lo guardiamo increduli giocare, arrossire, incantarsi davanti alla playstation, scambiarsi confidenze con la nonna, parlare con il peluche nella cameretta, annoiarsi in un letto d’ospedale. La metamorfosi dell’attore tiene sospeso il film in uno strabiliante incantesimo.
Impossibile non notare recenti influssi hollywodiani e ricorrenti fenomeni di ispirazione e assimilazione soprattutto tra le distribuzioni degli ultimi anni. Un attimo di attenzione è però sufficiente per capire che le caratteristiche del cinema indiano continuano a dimostrarsi del tutto differenti, il suo linguaggio filmico è una cosa a sé perché diverso è il rapporto che lo spettatore ha con la pellicola. Vorrei credere però che la sospensione della song and dance formula, sostituita a volte da brani musicali di sottofondo, non sia una strategia di avvicinamento allo standard dei film occidentali ma solo una delle tante opzioni possibili, una scelta narrativa. Anche la presenza di un cantante narratore, in sostituzione al playback, era già stata introdotta in molti film del passato, basti pensare ai grandi registi dell’età d’oro Guru Dutt e Raj Kapoor e al modo in cui hanno scelto di girare i brani “Neele Aasmane” (Mr & Mrs 55) e “Ek bewafaa se pyar kya” (Awaara), ma gli esempi potrebbero essere centinaia. La musica e il testo mettono in luce i pensieri dei personaggi o il tono della situazione, il cantante legge nella mente e può esprimersi senza limiti, predire il futuro, ricordare il passato, lodare o accusare i personaggi, che sia presente sulla scena,  o ai margini di essa, come la rock band di Life in a metro. Nonostante le nuove tendenze preferiscano una colonna sonora di sottofondo piuttosto che vere e proprie coreografie, continuo a sperare che la sostituzione non avvenga mai e che il cinema indiano si rifiuti di perdere la sua principale caratteristica.
La nuova Bollywood che continua a raccogliere ogni giorno piogge di consensi non nasce dal nulla né salta fuori da un’immensa bolla di sapone, ma è figlia di una vastissima e preziosa eredità cinematografica. Il cinema indiano degli anni ’70, rilanciato dall’esplosivo Om Shanti Om, rivive nella commedia romantica Action Replayy, nella quale Akshay Kumar e Aishwarya Rai sfoggiano un coloratissimo look retrò, e nel nostalgico Once upon a Time in Mumbaai, che regala ad Ajay Devgan un personaggio costruito sull’impronta dell’"angry young man" interpretato con successo da Amitabh Bachchan. Dando nuova vita ai più scoppiettanti ingredienti della tradizione masala, Dabanng, poliziesco scanzonato e adrenalinico, mescola saggiamente azione, commedia e glamour regalando al pubblico un nuovo e ruggente Salman Khan.
L’interessante produzione contemporanea in realtà non è così distante dal suo passato come vorrebbe far sembrare ma ne è la continuazione ideale, il proseguimento di un flusso creativo incontrollabile, riflesso di un Paese che cambia. Molti non lo sanno ma c’è lo zampino di tecnici indiani anche dietro la realizzazione di numerosi film americani, soprattutto lungometraggi animati e fantasy movies. Spensierate commedie incendiano il botteghino a fianco di film poetici, storici, romantici, sperimentali, o puri capolavori d'intrattenimento, dalla trasposizione di opere letterarie alla riflessione su temi di attualità. C’è spazio per tutto, le possibilità di scelta sono tante quanto i diversi gusti del pubblico. Se Hollywood ha vita breve lontana dal suo mercato internazionale, Bollywood finora non ha mai mosso un dito per farsi notare all’estero e come un gigante silenzioso si gode i suoi frutti continuando a spiare il resto del mondo dal soppalco. In Paesi come l’Italia vige ancora la regola del passaparola, eppure il fenomeno si muove e chissà quali effetti porterebbe una campagna pubblicitaria mirata a stabilire il prodotto nel mercato.
Data la completezza delle sue tematiche, la bellezza formale e l’intrattenimento che la contraddistinguono, non c’è da sorprendersi se la produzione cinematografica indiana si stia imponendo anche in Europa, e nemmeno se siano state alcune ragazze spagnole a scalare la vetta del concorso indetto dalla Yash Raj durante il lancio di Rab ne Bana di Jodi nel 2008 (unico premio in palio incontrare Shahrukh Khan, scusate se è poco). “Bollywood macht glücklich / bollywood ti fa felice” è l’inno dei promotori del bollywood life-style in terra tedesca, la ventata di colore e positività è ormai diventata un fenomeno di costume, dalla vendita e doppiaggio di dvd alla proposta di abiti e acconciature ispirate all’Indian urban fashion, festival e mercatini tematici, lezioni di danza e cucina, corsi di lingua, svariati tipi di merchandising, dalle borse ai quaderni di scuola. La Germania è solo l’ultima conquista: America Latina, Africa, Medio-Oriente vantano un’amicizia di vecchia data, e la Russia fu la prima ad impazzire per il cinema indiano, dai tempi di Raj Kapoor. Ma se i prodotti della nuova Bollywood sono i primi a colpire l’Occidente conquistando consensi e coinvolgendo ogni giorno nuovi spettatori, sono soprattutto i titoli del suo passato prossimo o passato remoto a stabilire con loro il legame di una vita. Come le prime pagine di un libro avvincente che obbligano il lettore ad andare fino in fondo, stuzzicando come antipasto Luck by chance e Kaminey, ci si ritrova presto a divorare Kuch Kuch Hota Hai, 1942 a Love Story e Dilwale Dulhania Le Jayenge, fino a saziarsi con Sholay, Pyaasa e Awaara.

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